venerdì 6 aprile 2018

A TAXI DRIVER di HUN JANG (Korea film festival)

Ti ricordi cosa diceva quella canzone? Ma sì, la cantavamo spesso e volentieri durante le trasferte dalla nostra Brianza a Roma. Ogni manifestazione era preceduta da questo canto collettivo sul bus, non ricordi? Aspetta ti cito le parole:" Gli eroi sono tutti giovani e belli!" Appena le ripetevi per tre volte consecutive ti pareva quasi di vederlo questo eroe, vero? Alto, biondo, sguardo fiero, nobilissimi ideali e sprezzo del pericolo. Gli eroi non hanno paura, non temono la vita.
Perché non ne hanno una da perdere.Sono un po' dei coglioni gli eroi, sai? L'ho sempre pensato e infatti ho sempre trovato più avvincenti le storie di quelli che, se avessero potuto, col cazzo che avrei perso la vita per la patria, dio, o altre invenzioni umane.
Però la figura dell'eroe e del super eroe, ci serve e non possiamo farne a meno. Deleghiamo a loro le asprezze della lotta, il rumore dell'acciaio e delle pallottole, la presa di posizione. Così possiamo vivere mangiando pop-corn e prendendocela coi "politici".
Eppure la vita a volte ci costringe a non rimanere nascosti,  a vivere premiando la convenienza e non il riscatto, la redenzione, il semplice gesto di umanità che non ci rende complici.

Vincitore del premio della giuria e premiato come miglior film dai voti degli spettatori in sala, del Korea Film Festival, da poco concluso,  A Taxi Driver, è un' opera di grande spessore e potenza. Proprio come il secondo classificato (Ordinary Person) anche qui ci troviamo di fronte a una pellicola che contamina genere e impegno politico. Un giusto equilibrio tra la commedia e la denuncia del massacro di Gwangju, dove una lunga protesta popolare venne soffocata nel sangue ad opera dei soldati.
Casomai vi voleste informare meglio sul massacro, ecco un linkhttps://it.wikipedia.org/wiki/Massacro_di_Gwangju

Il film ci mostra la vita di Kim. Chi è costui? Un uomo medio, anche mediocre. Non certo una persona informata di quanto accada dopo il colpo di stato del 12 dicembre 1979. Lui pensa a lavorare e mantenere sua figlia. Il tassista è un vedovo e non è facile crescere una bambina da solo.
Kim a inizio film se la prende con un gruppo di studenti che manifestando viene caricato dall'esercito. Per lui, quelli, sono solo dei fannulloni, figli di papà, che non sapendo cosa fare rompono le palle alla brava gente come lui
La brava gente vive bene anche sotto una dittatura militare.
Un giorno attirato dal danaro decide di accompagnare uno straniero, un reporter tedesco- se non ho capito male della D.D.R.-  nella città di Gwangju.

Il viaggio non comincia benissimo.  Il reporter è un po' arrogante e sprezzante nei confronti del tassista e questo ultimo pensa solo ai soldi che guadagna con quel lavoro.
Una volta giunti in città, però, le cose cambieranno. Kim toccherà con mano la ferocia del regime, vedrà molti ragazzi e cittadini trucidati, vivrà sulla sua pelle l'orrore della dittatura fascista. Sopratutto comprenderà che noi non siamo nati per vivere separati dal mondo. Non siamo isole, non possiamo pensare solo ai nostri cari, alla nostra salvezza. L'arrivo di una maturità politica e umana coincide con i momenti più emozionati e drammatici dell'opera. Il ridanciano tassista diventa un uomo che per il bene di gente innocente e per salvare quel cliente abbandonato a far una brutta fine, si mette in gioco.
La cosa bella di questa presa di coscienza è che non si manifesta in modi retorici e da supereroe. No.
Kim rimane un uomo normale, non particolarmente sagace o forte, uno di noi. Perché talora il ruggito di un coniglio può coprire quello del leone.
Kim capisce che in certi momenti non ci si può tirare indietro. Non è una comprensione intellettuale e razionale, ma assolutamente sentimentale. Ha degli amici, ha conosciuto colleghi e cittadini che lo hanno accolto come uno di loro. Per questo decide di aver un minimo di coraggio e di aiutare il giornalista tedesco.
La cosa davvero bella di questo film è che se ne sbatte di apparire retorico, commovente, ricattatorio e tute quelle stronzate tanto care ai fans del cinema trattenuto.
A Taxi Dirver è un film carico di emozioni, scene madri suggestive e sequenze che fanno bene al cuore e agli occhi.  Cinema popolare, per masse, ma che svolge anche il compito preciso di istruire il pubblico attraverso l'uso della memoria.
Difficile trattenere le lacrime nella sequenza in cui Kim, ormai fuori dagli scontri in piazza, a bordo del suo taxi non sa se ritornare indietro o portare in salvo sé stesso e il suo cliente.
Basta inquadrare gli occhi dell'immenso Song Kang-Ho per mettere in scena indignazione, rabbia, impotenza, amarezza.
Il film è tratto da una storia vera. Giusto per ribadire che davvero noi possiamo essere migliori rispetto a quello che siamo costretti ad essere, ogni giorno della nostra vita.
L'opera si chiude con un filmato che riprende il vero reporter tedesco, il quale chiede di aiutarlo a trovare quel tassista, quell'inaspettato amico, che non vede da decenni.
Giusto per dar più amarezza a una pellicola commovente, toccante, che mi ha fatto conoscere una storia quasi dimenticata o mai sentita, sopratutto in  Occidente.

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