mercoledì 28 marzo 2018

ORDINARY PERSON di KIM BONG-HAN (KOREA FILM FESTIVAL)

La Storia puoi narrarla o filmarla in due modi: ponendo l'attenzione all'ambiente sociale e politico in cui accadono i fatti presi in considerazione, come nel bellissimo The Fortress, mostrando le strategie e le analisi alla base del sorgere e cadere di regni e dittature, oppure raccontando la storia piccola di gente piccola. Uomini che non sentono il peso della gloria, la forza della rivoluzione, ma devono riempire lo stomaco e sopravvivere. Questo capita nei regimi dittatoriali e quelli democratici di stampo capitalista.
Le persone normali, ordinarie, comuni, non possono fare altro che vivere e occuparsi dei propri cari.

Tra queste persone ordinarie, che fanno solo il loro dovere, non mancano nemmeno uomini che hanno sostenuto cause sbagliate. Le ragioni sono tante, non solo la fame. C'è un'idea errata di patriottismo, c'è la paura di ribellarsi, moltissime ragioni.
Tutti dormiamo quando il potere è troppo forte, questo non vuol dire che non possiamo svegliarci.

La dittatura militare nel Sud Corea, è materia poco conosciuta dalle nostre parti. A essere sinceri è sconosciuta anche quella del Nord, visto che i riferimenti nostri sono solo mezzi di propaganda del sud o- quando va bene- cinesi. Noi occidentali arroganti e presuntuosi non sappiamo un cazzo, ci cibiamo di propaganda, ma crediamo sempre di aver capito l'universo mondo.
Quando molti non hanno ancora capito come funziona la nostra democrazia e cosa si va a votare il giorno delle elezioni, spoiler: non il governo.
Come tutte le dittature fasciste serviva a noi per bloccare l'avanzata del comunismo o di spinte anti colonialiste. L'atteggiamento è di solito: "Sono dei figli di puttana, ma sono i nostri figli di puttana".  Lasciando ai mezzi di informazioni, a volte e non sempre, il compito di farci provare pena per quelle persone così disgraziate da vivere in quei paesi.

Ordinary Person, comincia come una robusta commedia quasi d'azione. Ci viene presentato il suo protagonista, Kang Sung- Jin, un poliziotto navigato e dai modi poco ortodossi. Lo vediamo mentre dà la caccia a un malvivente in compagnia del nuovo arrivato. Vengono messe in scena le dinamiche tipiche di un poliziesco in cui è protagonista una coppia di sbirri ed è anche divertente a tratti.
Il tono cambia dal momento che Kang-Sung-Jin viene contattato dai servizi segreti. In quel periodo ci sono manifestazioni e malumori nel popolo e serve una storia per deviare la tensione. Per questo il poliziotto deve occuparsi di un feroce serial-killer. L'agente decide di incolpare un uomo, arrestato insieme al giovane collega, colpevole di un omicidio ma estraneo del tutto agli altri casi 
Il poliziotto, in cambio dei suoi servigi, ottiene denaro, una nuova auto e la possibilità di operare il proprio figliolo.
Il ragazzo ha un problema a una gamba, ma l'operazione per poterlo guarire costa troppo. Grazie ai soldi ottenuti facendo il lavoro sporchissimo per il regime, l'intervento si può fare.

Mentre ripensavo a questo film mi veniva in mente una cosa: come è facile accusare un uomo. Leggendo queste righe uno potrebbe pensare che lo sbirro protagonista sia un uomo spregevole, visto che a un certo punto fa arrestare anche il suo migliore amico, un giornalista dissidente. Questo schematismo capita solo in certe opere, non è sbagliato a prescindere e non mi dispiace nemmeno, tuttavia la vita reale è un continuo spostarsi tra soluzioni sbagliate e altre disastrose, vigliaccheria e coraggio, orrore e splendore. Tutto questo è ben rappresentato dal protagonista di questo meraviglioso, stupendo, straordinario film.

La seconda parte di questa opera infatti ci parla del risveglio del suo protagonista. L'uomo comprende che è solo un numero, un oggetto, e che la sua amatissima patria è nelle mani di farabutti e torturatori.
Commuove la sua lotta per incriminare il giovane e feroce funzionario dei servizi segreti. Ci trema il sangue nelle vene assistere alla fine del giornalista dissidente, l'impegno della giovane reporter, la fine di un cane randagio e di una povera famiglia. Tanti piccoli tasselli di un mosaico imponente di orrore, violenza, sopraffazione.
Certo la dittatura è sul punto di finire e poi arriverà la democrazia, ma questo non significa per forza giustizia. Il finale amaro e tenero allo stesso tempo lo dimostra apertamente.

Grazie al Korea Film Festival che da sedici anni si tiene verso fine marzo, in quel di Firenze, ho scoperto opere meravigliose e film importanti. Di generi e registri assolutamente diversi l'un dall'altro, ma che meritano di essere conosciuti dagli spettatori che amano il cinema e non sgranocchiare pop corn a cervello spento, ogni volta che entrano - per caso- in una sala.
La fortuna di vivere a Firenze è che non mancano occasioni per conoscere cinematografie di tutte le parti del mondo, vedere opere destinate all'invisibilità, tutto questo grazie alla professionalità e passione degli addetti ai lavori.
Le cose fanno schifo se lasciamo che facciano schifo. L'amore per l'arte e lo spettacolo, prima poi ci premiano con festival come questo dedicato al cinema coreano e film indimenticabili come Ordinary Person.

mercoledì 7 marzo 2018

ALLENDE di MIGUEL LITTÌN

Il titolo originale di questo ottimo film è : Allende e il suo labirinto. Perché il film non è tanto la biografia di un leader politico, ma la cronaca di una morte annunciata, della sconfitta di un metodo di lotta tanto nobile moralmente quanto disastroso nella pratica.
Non è nemmeno, e come potrebbe vista la storia del Cile, un atto di accusa contro un uomo dotato di grandi principi morali, morto per difenderli fino all'ultimo. Ogni cileno o uomo che ripudia il fascismo, non può che provare partecipazione umana per la sorte di Salvador.
Per chi volesse sapere qualcosa in più consiglio l'ottimo documentario di Patricio Gùzman : Salvador Allende. Una visione più ampia, che parte dalle tante lotte fatte per il popolo cileno, fino alla fine. Un documentario che si interroga su cosa sia rimasto al popolo cileno. Che è rimasto? Qualche giovane della media borghesia che inneggia a Pinochet, qualche compagno che fa notare come la rivoluzione non è democratica e pacifica e tantissimi altri che lo rimpiangono.
Il film di Littìn si concentra su quel 11 settembre 1973, quando l'esercito cileno mise in atto il colpo di stato. Voluto dal premio Nobel per la pace Kissinger, dagli americani che non potevano sopportare di perdere il potere economico sul cortile di casa, il Sudamerica, così da bravi democratici e unici sostenitori del mondo libero, decisero di metter in azione una lunga stagione di dittature a busta paga yankee. Lo chiamavano Piano Condor. Ha provocato migliaia di morti. Uomini, donne, bambini, perché comunisti, sindacalisti, o perché poveracci, indio, neri. Un tempo i liberali-conservatori ti dicevano: "Si, ma l'economia con questi governi è migliorata. Il ceto medio ha visto grossi progressi in campo economico" Si prendevano le responsabilità di essere degli stronzi.
Oggi ti tirerebbero in ballo le fake news, i complotti, anzi i "gomblotti". Pure quel minimo di coraggio hanno perso.
Allende e il suo labirinto, è il posto in cui il presidente a furia di sbagliare per troppo spirito democratico ha spinto sé sresso e il paese. Un paese che aveva dato un bruttissimo segnale con lo sciopero di quegli infami dei camionisti. Salvador non ha capito che il ceto medio e parte dei piccoli padroni, sono un flagello per la rivoluzione. Non si deve trattare con essi. Lo impone la sopravvivenza della rivoluzione stessa. I nemici ti fanno fuori se ti dimostri ragionevole e ti dipingono come un assassino sanguinario se reagisci. Non che costoro abbiano fatto affidamento a dei galantuomini, quando hanno preso il potere
Il film narra la scoperta del tradimento totale di generali che avevano giurato fedeltà al governo e al presidente. La solitudine feroce di un uomo troppo nobile e dignitoso, per un paese che si vende al padrone straniero. Seguiamo le ultime ore e scopriamo l'uomo dietro al simbolo. Un rapporto extraconiugale,  l'attaccamento ai compagni e la dedizione all'amicizia, il profondissimo amore per le figlie.
Essere superiori, moralmente ed eticamente, rispetto ai nostri nemici, può bastare? Allende perde, ma come uomo è un gigante rispetto a quel figlio di puttana di Pinochet. Eppure uno si è suicidato dopo una lunga e solitaria guerra, l'altro è morto nel suo letto, dopo decenni di dittatura e torture contro il popolo cileno.Avrei trovato giusto e migliore una fucilazione di massa di tutti quelli che hanno preso parte, in tutti i campi, alla dittatura cilena. La pacificazione democratica piace alle brave persone alla Saverio Tommasi, ma non ai parenti delle vittime. Non so come la prenderei il fatto di veder camminare tranquillamente, nella mia via. il torturatore di mia moglie o di mio figlio.
Il Cile è una sconfitta pesante per il socialismo, il comunismo, e in un certo senso anche per la democrazia.
Il film riesce a tenerci bloccati e fermi dentro La Moneda, durante l'assalto delle truppe golpiste. Ha un vago senso peckinpiano nel descrivere questa resistenza inutile, questo massacro orrendo, questa facilissima vittoria. Non mette in scena degli eroi, ma solo delle persone che non possono fare altro che combattere fino alla morte. Quelle che, su consiglio di Allende, si arrenderanno finiranno trucidate negli stadi, nelle galere. Perché il fascista non mantiene mai la parola, e non si tratta o ci si arrende quando abbiamo a che fare con questa deviazione dell'essere umano.
Oggi è facile criticare Allende, come sempre siamo tutti bravi a dire come dovevano andare le cose dopo che sono accadute. Infatti non mancano quelli che insegnano a un morto cosa avrebbe dovuto fare dare l'ordine di armare il popolo.
Allende non voleva scatenare una guerra civile, non voleva che il popolo pagasse duramente uno scontro tra fazioni politiche.
Egli si sbagliava di grosso. Il popolo avrebbe sofferto pur non avendo impugnato le armi. I fascisti al potere avevano già deciso chi doveva morire. Potevi anche essere tanto buono e pacifico, ma il tuo destino era segnato.
Il fascismo è un mezzo di governo in difesa di interessi economici a volte nazionali, a volte per conto di altre potenze, che come unico scopo la distruzione dei diversi, per il predominio di chi è forte, di razza ariana, la violenza fascista si scaglia contro i deboli. Tutto qui.
Questo è successo anche in Cile.
A volte il cinema si ricorda che non è solo intrattenimento. A volte decide di raccontare storie vere, decide di sporcarsi le mani colla storia e la memoria. Io amo questo cinema militante, d'altronde pur senza vantarmi di essere un rivoluzionario, sono orgogliosamente comunista
Mi piace il cinema che fa anche politica, che propaganda una sana idea anti fascista, che mette in discussione le brillanti basi del capitalismo. In questi tempi di grossa sfiducia, di "maremme maiale" che volano a velocità supersonica, per via di scellerate scelte politiche, il cinema ci rammenta ancora chi siamo, quale la nostra storia, i nostri ideali. Forse se la piantassimo di dar retta alle cazzate dei rossobruni, se la piantassimo di litigare tra noi quattro spelacchiati gatti, se decidessimo di non dar retta ai democretini in malafede, magari potremmo anche riprenderci dal grande sonno che ci affligge da decenni.
Nel frattempo non dimentichiamo la storia e gli uomini come Allende.
 Lo spettatore bolscevico e indisciplinato, vi consiglia la visione di questo film. Disponibile su Netflix

lunedì 5 marzo 2018

IL FILO NASCOSTO di PAUL THOMAS ANDERSON

Sì, quando al cinema arriva una pellicola di Anderrson possiamo anche parlare di capolavoro. Oppure di opere talmente perfette da avvicinarsi al termine più inflazionato, ed odiato, nel mondo dei cinefili da tastiera.
A me è dispiaciuto che non abbia ricevuto il premio per la miglior regia, va detto che Del Toro però è un ottimo vincitore, perchè sarebbe stato il giusto riconoscimento a una carriera invidiabile e sempre in ascesa.
Lo stile di Anderson, col tempo, si è modificato e ha trovato nuove strade. Basti pensare al ritmo vorticoso, il virtuosismo tecnico, di opere come Magnolia o Boogie Nights, fino a questa seconda parte della sua carriera dominata da uno stile più rigoroso, austero, solenne, quasi statico.

Questa nuova opera potrebbe esser vista come un'azione di sovversione dell'immaginario fiabesco. Proprio mentre trionfa la bellissima favola sociale di Del Toro, Anderson prende alcuni elementi del racconto fiabesco e li frantuma in un mondo aspro e privo di amore.
Reynolds Woodcock come una sorta di orco, intrappolato nel suo castello e legato in modo sospetto alla sorella, trova in Alma una sua vittima predestinata e la porta nel suo rifugio. La donna appare isolata e debole nel suo nuovo ambiente, ma alla fine si dimostrerà meno vittima di quanto possa apparire.
Questa è solo un'ipotesi, un'idea nata durante la visione.
Il film, ambientato negli anni 50 in Inghilterra, si avvicina molto come tematiche a una delle opere più riuscite di Anderson: The Master.
Mentre in quella pellicola si metteva in scena il rapporto schiavo-padrone, e la fortissima dipendenza che si lega tra i soggetti, in un ambito collettivo e sociale, in questo caso tutto è rinchiuso nelle pareti domestiche.
Come se l'amore non fosse altro che un gioco di rapporti di forza. Due persone per stare insieme hanno bisogno che qualcuno sia dominato e l'altro domini. Ma in questo film, chi è il vero dominatore?

Reynolds pensa di essere un uomo forte, uno che ha la situazione in pugno, capace di gestire lavoro ed eventuali sentimenti. Un uomo in assoluta simbiosi colla sua professione, un perfezionista, ad un passo dalla malattia mentale. In Alma che vede? Un modello su cui provare gli abiti? Una compagna? Un suo tentativo maldestro di avere una relazione? In parte si, ma credo che l'ossessione assoluta per lo stilista sia proprio il suo lavoro. Come un padroncino brianzolo qualsiasi,  Woodcock vive nel palazzo che usa come posto di lavoro. Un uomo che si sente invincibile, ma che tradisce tutta la sua fragilità quando sta male, ridiventa il bambino ossessionato dalla madre scomparsa e cerca affetto tra le braccia della sua compagna.
Alma ci appare come una ragazzina di provincia, una persona delicata, forse timida. Nonostante l'impegno nel cercare un suo spazio, anche all'interno dell'attiività del suo "amato",  appare quasi sempre inadeguata, fuori posto
Un classico ritratto femminile di una donna fragile. Eppure dimostra, nella parte conclusiva del film, di aver la situazione in pugno, di non essere così debole,  e di essere matta tanto quanto il buo Reynolds.
 L'amore come sappiamo ha mille volti, sicuramente qualcuno, vedendo codesto film, potrebbe definirla una storia d'amore. Forse, Sopratutto da parte di Alma, non penso che il sarto sappia che significhi amare qualcuno. Il punto è: quando un sentimento diventa malato, possiamo ancora parlare di amore?
Penso che questa sia una delle tante domande che il cinema, quando è fatto ad altissimi livelli,  possa donare agli spettatori.
Un duello tra due persone legate da una visione di dominio e sottomissione della vita di coppia e non solo. Anderson ci accompagna nelle loro vite, tenendo una giusta distanza sia etica che cinematografica. Non si trattiene dal mostrare le derive umane dei suoi personaggi, ma non ha nemmeno bisogno di sottolineare, esemplificare, semplificare. In scena ci sono due personaggi assai complessi, sfaccettati. C'è un mondo che, dietro a una severa idea di eleganza, cade a pezzi (la bellissima scena del matrimonio) un universo di persone completamente sole, incapaci di relazionarsi agli altri.

Un mondo perfetto per un melodramma raggelante, essenziale, eppure profondo e toccante, in alcuni brevissimi attimi di sconfortante umanità, che ha dalla sua un cast formidabile.
Cosa dire ancora sulla bravura di Daniel Day Lewis? Questo suo addio alle scene avviene con un personaggio bigger than life, come si dice a Cesano Buscone, una recitazione perfetta. Non uno sterile gioco di sottrazione, ma nemmeno la ricerca continua di far troppo. Equilibrio, sobrietà, eleganza. Un vero idolo.
La vera sorpresa, per me, è Vicky Krips. Prima di tutto, perché è lussumburghese di nascita, suo nonno era presidente del partito operaio socialista lussemburghse ( ci sono gli operai in quel di Lussemburgo !)  ha all'attivo diverse partecipazioni in numerosi film internazionali, ma ha lavorato molto in Germania.
Ho trovato che la sua interpretazione sia davvero sublime. Capace di passare a momenti di abbandono, fragilità, a una sorta di rivalsa e rivelazione della sua follia, davvero assai potenti.

Io ho amato molto questo film, come tutto il cinema di Anderson, sono sempre più convito che il regista americano sia uno degli ultimi grandissimi autori in circolazione.
Uno dei pochissimi per cui si possa anche parlare di "capolavoro", ad ogni uscita di una sua opera.