martedì 12 ottobre 2021

SquidGame di hwang Dong-hyuk

 Venti e passa anni fa durante un'intervista televisiva , Verdone disse che uno dei problemi del cinema italiano era che la gente amasse andare a veder film coreani.  Leggenda?Mito? L'ho davvero vista e sentita o me la sono immaginata?E se così fosse perché proprio Verdone? Lasciamo stare e andiamo avanti. Come ben sapete in casa Viganò- Nencini il cinema asiatico è molto apprezzato e considerato, come tutto il cinema di ogni continente che ci emozioni, faccia riflettere o semplicemente sia in grado di intrattenere.

Per questo l'enorme successo di codesta serie ci riempie di gioia e felicità, anche perché è un prodotto totalmente diverso rispetto alle serie occidentali ( quando diciamo occidente ci riferiamo agli Stati Uniti).

Diversa nella struttura non lineare, nei personaggi e nelle loro motivazioni, nel mescolare melodramma e comicità, horror e sentimenti. Ci sono delle zone grigie e sfumature che non sono mai un modo vigliacco per non prender parte e far della filosofia a cazzo come in alcuni prodotti americani. Le sfumature, in questo caso e nel cinema coreano in generale, impreziosiscono i personaggi e li dirigono verso scelte decisive poco dopo.  Sono il momento di ragionamento personale, di paura e coraggio, non un modo per lavarsi le mani dalla responsabilità di scegliere una strada.


Quindi sarebbe interessante analizzare i motivi del successo di una serie così lontana dal gusto occidentale, ma molti preferiscono farci sapere che non la vedranno perché va di moda.  Il conformismo degli anti conformisti, codesto bisogno di stare sempre ai margini, a differenziarsi in ogni caso, a mio avviso meriterebbe una bella serie tv o, meglio ancora, un documentario carico di dramma. Ovvio che siano scelte dei singoli e fanno bene a veder altre cose, migliori e preziose.  A me questa serie è garbata assai. Per quale motivo? Più di uno. 

Partiamo dai personaggi. L'eroe è un classico esempio dell'immaginario cinematografico coreano, un inetto, pigro, indolente parassita che vive sulle spalle dell'anziana madre e spende tutti i soldi nelle scommesse.  Uno di quelli che vive ai margini ma non è del tutto sprofondato nella miseria.  Uno scansafatiche, immaturo, che però ama moltissimo la figlia.  A modo suo cerca di esser un padre, ma non ne ha le capacità volute dalla società. 


Gli altri personaggi sono persone che non hanno avuto successo nella vita. Perché hanno truffato i clienti che si sono affidati a loro per aumentare la loro ricchezza, perché sono nord coreane che al sud si arrangiano anche rubando pur di mantenere il fratello minore o sono pakistani sfruttati sul lavoro e invisibili agli occhi dei più. Per non parlare di chi ha la colpa di essere anziano e malato. Un peso. Da eliminare. Infatti in questo gioco si ritrovano tutti gli indesiderati da parte della opulenta e spietata società coreana. Il cinema di quel paese rappresenta sempre le tensioni sociali tra classi, la violenza come unico mezzo di comunicazione tra persone, non è che se lo siano inventati con Parassite, ma è proprio un modo ben radicato di far cinema, ampiamente bilanciato attraverso ottime commedie romantiche. 

Per cui Squid Game è una serie che intrattiene, ma allo stesso tempo è critica sociale e politica chiara, tagliente, forte. Peraltro mescolando una certa propensione al taglio con l'accetta e la rappresentazione stereotipata dei ricchi malvagi, con sottigliezze e anomalie inserite con delicatezza per rendere più potente il messaggio.  

Quindi personaggi, messaggio politico semplice e diretto ma non banale, inoltre trovo che usi assai bene i richiami ad altri prodotti, contaminando la storia con citazioni prese anche dal cinema occidentale. Non male nemmeno l'idea dei giochi da bambini riletti in modo a dir poco micidiale.  L'infanzia come terreno incontaminato, di giochi con  gli amici, che rivela il suo   volto oscuro (d'altra parte la violenza è quasi sempre presente nei giochi da bimbi ma riletta attraverso la giocosità dei bambini che non conoscono ancora la violenza triste e squallida degli adulti)  perché inquinato dalla noia di chi ha troppo.  Ci sono due riflessioni legate al concetto di aver troppo e aver nulla, il secondo è strettamente collegato al primo. Un gruppo sociale ha fin troppo potere (tanto da decidere anche le lotte delle opposizioni o cosa sia eticamente giusto) e l'altro non ha nulla.Quindi a costoro venga data la possibilità di trionfare e farsi una posizione giocando; in fin dei conti lo fanno sempre scommettendo alle corse, acquistando gratta e vinci, indebitandosi alle slot machine dei bar.  Il danaro e la mera sopravvivenza sono le cose che contraddistingue il genere umano. Per essi sono disposti a tutto. Così la noia di gente troppo ricca e disumana, lascia spazio a un infantilismo legato alla scommessa, al tifo per un giocatore o alla crudeltà più pura e incontaminata, proprio come i bambini nei loro giochi.

Eppure esiste una forza legata alla morale, all'etica, al provar sentimenti di affetto e amore per gli altri, così come esistono persone soccorrevoli, altruiste e generose. Saranno quelle che decideranno di non diventare un servo del potere derivato da avere molti soldi? O qualcuno che serve la legge? O forse solo un uomo troppo arrabbiato e solo? Si prevede una seconda stagione e io vorrei tanto che non si ripetesse la stessa cosa che è capitata con La Casa di Carta, cioè una prima stagione assai piacevole e le cazzate più atroci fin dai primi minuti della seconda.


Ps: il regista ha diretto un ottimo dramma storico The Fortress, visto anni fa al Florence Korea Film Fest. Se lo doveste trovare guardatelo, vale la pena.

lunedì 27 settembre 2021

Tre Piani di Nanni Moretti

 Azzarda e spiazza.

Ecco quello che mi sento di dire (e scrivere) circa l'ultimo film di Moretti.Un percorso incominciato in quel bellissimo e struggente opera di finzione , "Mia Madre, film in cui il Moretti autore e personaggio simbolo par che facesse quasi una sorta di testamento artistico, un voler confrontarsi con la sua straordinaria opera artistica e il percorso umano che ogni essere vivente intraprende dopo certi lutti pesantissimi- che brutta espressione, come se ne esistessero di leggeri-  per cui quel film ci avrebbe dovuto traghettare, insieme al suo autore, verso altri lidi. Altre storie e personaggi. Un nuovo corso artistico. Quando succedono queste cose lo spettatore e il fan si sente defraudato, imbrogliato,  scatta la sindrome Sheldon Cooper nei confronti del cambiamento di direzioni, tematiche, stile, del nostro beniamino.  Perché su di essi costruiamo certezze, riti, in un mondo che ci spaventa e non comprendiamo, l'ultimo film di un autore che da anni ci dice- benissimo- le stesse cose, ci fa sentire bene.  Creiamo anche una sorta di rapporto di complicità Per questo perdoniamo a loro anche opere decisamente insulse e brutte, come fanno molti con un noto autore americano, pur di ritrovare la stessa cosa, detta nella stessa maniera, fino alla morte del suo autore.


Questa cosa mi capitava spesso da ragazzo, quando una delle mie band rock preferite si buttava sulla musica elettronica.  Maledetti! Traditori! Sto disco fa schifo! Ora, essendo del leone, per mia natura è pressoché impossibile sbagliare, ma oggi sarei meno duro con quelle band.  Potrei cogliere il bisogno di far altro, di spiazzare il pubblico, o sfidarlo invitandolo a qualcosa di diverso. 

Trovo anche molto buffo che molti di quelli che stroncano il film puntano molto su questa completa diversità con l'opera morettiana e poi si lamentano del Moretti egocentrico e bla bla bla. Ci sta. Faccio solo notare che è una cosa abbastanza comica.

Ma davvero Moretti era una sorta di comico? Uno che ci faceva ridere?  Certo non mancava una risata nei suoi film, ma che genere di risata era? Amarissima, crudele, umanissima nel suo sarcasmo.  Oppure improvvisamente Bianca, La Messa è finita, Sogni d'oro e tutti gli altri erano commedie italiane al pari dei vari Nuti, Verdone, citando i due migliori nomi di commedie.  Oltretutto è una critica campata in aria, Woody Allen non ha diretto anche film serissimi? Copie e incolla delle opere di Bergman, ma insomma..Ci siamo capiti!


Tre Piani è la prima opera di Moretti in cui il regista romano adatta per lo schermo un'opera altrui. Non credo sia semplice dopo anni di lavori su storie personalissime, adattarsi a portare sullo schermo la storia di un altro.  Far in modo che due sensibilità coincidano o riescano quantomeno a convivere insieme. Però questo è anche il lavoro dell'artista. Adattare alla propria visione i mondi che ci circondano. Piegarli alle tematiche ed istanze che tanto ci stanno a cuore. 

A bene vedere ogni ammiratore sincero di Moretti, riconosce il suo autore proprio dalle tematiche che sono le stesse ma servite diversamente. Il suo autore lascia spazio ad altri attori e attrici, mentre per lui ritaglia un ruolo che sembra ripetere lo stesso personaggio, ma in realtà è quasi un'autocritica pubblica. Dopo anni di rigore morale, di coscienze immacolate, cosa rimane? Una donna- il suo pubblico?- che dopo un periodo di dolore deve risorgere e prender la sua vita in mano.  Basterebbe questo per dar una versione altra e oltre alla pellicola. 

Ancore una volta lascia un messaggio importante a Margherita Buy, suo alter ego, anche in questa dolente e dolorosa confessione di un lunghissimo sbaglio, non tanto artistico, quanto umano.  Nella pellicola non viene messo in dubbio il lavoro di magistrato, ma la rigidità umana di Vittorio Bardi. Una inflessibilità che dovrebbe guidare il giovane figlio verso una vita di regole ed onestà, ma che per il ragazzo risulta essere una prigione soffocante, tanto da farlo crescere un pirla criminale. Ecco, forse questo discorso sulla inflessibilità, sulla certezza assoluta, è un passaggio molto bello e importante, che avrebbe meritato maggior attenzione. 

E ma il libro! Dal momento che viene adattato sullo schermo, il lavoro cartaceo non è importante per una riflessione che riguarda solo il film e le intenzioni- che stiamo ipotizzando-  che stanno alla base del  progetto.

Certo forse era meglio prender solo una di queste storie e approfondirla, magari ci sono delle cadute di tono- come si suol dire- magari qualcuno nel cast era un po' meno bravo degli altri, queste sono considerazioni normali.  Tuttavia non possiamo affossare con giudizi taglienti la costruzione di personaggi che sono vittime della loro solitudine e non riuscendo ad uscirne finiscono nei guai, qualcuno supererà questa fase, altri no.

 In due di questi casi è la giustizia, il desiderio ardente di vederla trionfare per riparare a qualche torto subito- ma in realtà nel caso di Scamarcio assolutamente immaginario- porta alla galla personalità tormentate e insoddisfatte.  Non solo, nel caso della famiglia che affida la figliola alla coppia di anziani, è ben chiara anche la totale mancanza di empatia, di comprensione dell'altro, tanto che un povero anziano vittima di demenza senile viene sospettato di violenza sulla loro bambina. Il padre si accanisce tanto su questo particolare da non vedere e sentire la realtà. Tanto da mettersi nei guai pur di sentirsi dire che il vecchio era un pedofilo. 

Ecco a me ha interessato questo sviluppo così inusuale, distante dalla solidarietà con chi di solito è la vittima, cosa che capita anche quando il personaggio di Scamarcio finisce sotto processo, non si enfatizza il suo esser squallido che affiora dalle acque profonde di una supposta moralità, ma si contestualizza in un mondo privo di riferimenti e di responsabilità, in cui tutto è solo vissuto in superficie e nel momento in cui accade.  Non si sceglie la strada del mostro totale contro la povera vittima, perché entrambi carnefici e vittime in un gioco disperato che parte da dolore, solitudine, debolezza.. 

Altro pianeta invece per quanto riguarda la performance perfetta di Margherita Buy.  Anche in questo caso non si prende la strada veloce e sbarazzina di un femminismo borghese, come piace alle giovani ribelli, ma è un discorso anche in questo caso pieno di sfumature. Lei non mette in dubbio l'amore del marito, ma si accorge che costui aveva preso il controllo di ogni singolo aspetto della sua vita e di quella del figlio. E questo non è - come accadrebbe in altri film- il punto di arrivo del personaggio, ma di partenza. Comprende le piccole cose, ma senza che queste diventino simbolo filosofico o simbolico, capisce che non doveva scegliere tra il figlio disgraziato e il marito.  Sopratutto inizia un vero e proprio dialogo con l'ombra del marito.  Anche in questo caso quello che ci sembra una cosa giusta - la legge è uguale per tutti- ci fa notare che l'individuo oltre che alle regole ha bisogno di affetto, risate, di cadere e far o dire cazzate, insomma di vivere.

Cosa che non riesce al personaggio di Alba Rohrwacher. L'unica che comprende quanto siano schiavi senza catene del condominio, dell'appartamento, di una vita chiusa in sé stessa.  Tutti hanno delle ossessioni che li portano alla rovina- totale o parziale-lei è l'unica che cerca l'altro e in questo mondo non può che finire spezzata e persa. 

Tre piani è un film cupo, rigoroso, però aperto anche alla speranza come il bellissimo finale- imbarazzante manco per il cazzo- che ci dice quanto sia importante non lasciarsi comandare dal rancore e che è solo una questione di tempo, pazienza, tenacia.

Per far ballare la vita, in un giorno qualsiasi.

mercoledì 1 settembre 2021

Possession - Legami di sangue di Warris Hussein

 Da ragazzo andavo fiero dei miei due volumi dedicati al cinema dell'orrore scritto da Teo Mora. Tantissimi titoli interessanti, quasi tutti scomparsi o dimenticati, in ogni modo difficili da reperire. Nondimeno non perdevo la speranza che un giorno avrei visto almeno uno di quei film. 

Quel giorno è arrivato.


Possession- legami di sangue"è un film americano prodotto nel 1972 e presentato al Festival del cinema di Berlino. L'opera è tratta dal libro Possession of Joel  Delaney della scrittrice Ramona Stewart (autrice anche della sceneggiatura) e narra la storia di una ricchissima donna dell'alta borghesia di New York, che riceve la visita del fratello di ritorno da Tangeri. Costei è felicissima  in quanto è da molto tempo che è separata dal suo amatissimo fratello. Le cose sembrano andar bene, fino a quando Joel non aggredisce un uomo. Da quel momento il giovane mostra dei pericolosi segnali di violenza e follia.  L'unica a occuparsi di Joel è  Norah, la sorella,  anche se in modo del tutto maldestro. Gli avvenimenti precipitano fino a una terribile realtà che distrugge il mondo tranquillo, ordinato, pulito, dabbene eppure completamente vuoto, fasullo, composto da persone che si sentono al sicuro dietro la rassicurazione del raziocinio e che allo stesso tempo giocano con le credenze degli altri. Che non sono simpatici mobili da esporre per dar un tono etnico ai freddi appartamenti dei ricchi, come fa la nostra Norah, ma contengono maledizioni, preghiere, fede, terrore e purificazioni.


Il film alla sua uscita mosse accuse di razzismo e scandalizzò per la scena in cui un bambino è costretto a spogliarsi nudo. Si criticò la regia senza nerbo di Hussein, ma credo che siano un po' esagerate codeste recensioni negative.
L'opera in realtà è il dramma borghese di una donna della buona società, abituata al lusso, a una vita agiata e senza scossoni, nonostante una tragedia unisca sorella e fratello,  che scopre improvvisamente un mondo fuori dai confini rassicuranti del suo quartiere. Certo gli altri non ci vengono descritti come dei buoni selvaggi. Sono poveri, esclusi sociali, hanno lasciato il loro paese per un sogno che si è trasformato in un quartiere malfamato, coperto da spazzatura e indifferenza.  Gente che crede, ha fede, prega perché sa che il Male esiste, ma viene derisa dai borghesi progressisti tanto quanto da quelli più conservatori. Norah è una donna sicuramente liberal, educata e cortese con la cameriera, ma si trova sopraffatta dalla terrible visione della miseria- bellissima la sequenza in cui scappa dal quartiere latino, in quel momento crolla la sua figura di donna moderna per far uscire la donna bianca spaventata dagli altri-  non capendo che sono gli unici in grado di salvarla davvero. 


Gli altri, i dimenticati, infatti nonostante qualche diffidenza iniziale, alla fine le danno un grande aiuto. Però lei lo respinge, perché una donna del suo ambiente non potrà mai accettare nulla che abbia a che fare con la superstizione popolare, la religione e i suoi misteri. Per cui, come vedete, un film che critica con precisione la borghesia.

Non è solo questo, a mio avviso, funziona bene anche come storia di una donna che ama tantissimo il fratello, non lo vuole perdere nemmeno quando capisce che costui ormai è in balìa dello spirito feroce di un serial killer portoricano,  Shirley Mclaine e Perry King sono davvero bravissimi nel render credibile il loro legame sentimentale. Lei protettiva con delicatezza e complicità, lui capace di far conoscere alla sorella una visione diversa del mondo. In fin dei conti la domanda è: quanto potrebbe ingannarci l'amore per un fratello, quando in realtà è solo l'involucro di un demone?

Io sono figlio unico, per cui.. Però ponetevela voi che avete sorelle e fratelli.

Elemento interessante è anche che la possessione non è da parte dei soliti demoni o dal diavolo in persona, ma è dovuto al vooodoo e la malvagia presenza è l'anima tormentata di un ragazzo cresciuto tra violenza e odio, abbandonato da tutti,  diventato un feroce assassino di donne. Farà amicizia con Joel e una volta morto, per diverse affinità legate all'abbandono materno, troverà modo di prender possesso del corpo del giovane e sprovveduto amico bianco e agiato.

Tutto questo per dire che non dobbiamo aspettarci i soliti preti e scene, ma qualcosa di diverso. 

Infine vorrei spendere due parole sul cast. Shirley Mclaine è bravissima nel ruolo di Norah, praticamente regge il film sulle sue spalle. Le basta un piccolo movimento per far trapelare rabbia, paura o amore. La sorpresa invece è Perry King- molti lo rammenteranno nel cast di Riptide- che riesce a rendere credibile il suo personaggio,  buono e dolce nei panni di Joel e ferocissimo quando posseduto. L'opera non teme di mostrare teste mozzate e di creare uno dei finali più angosciosi, destabilizzanti, terrorizzanti del filone. Ve lo consiglio. Lo trovate su Youtube.

lunedì 16 agosto 2021

Senza Distanza di Andrea Di Iorio

 Consumiamo oggetti e persone. Sprechiamo cibo e relazioni. Crediamo che "stare insieme" significhi "essere una coppia" e che l'innamoramento sia l'amore. Se la vita fosse un albero , la classe proletaria sarebbe la radice. Sottoterra, coperta dalla vita , dagli impegni, dalla sofferenza, eppure ben ferma, solida, con idee chiare, attaccate a quell'acqua- poca o tanta- che è fonte di sopravvivenza. Non c'è tempo per divagazioni, alibi, fantasie. Si vive e si combatte. E ti godi pure le tue meravigliose serate sul divano, in pantofole, a guardar cose sceme. Tu e la donna con cui hai scelto di vivere. 

Le foglie, invece, sono gli intellettuali- borghesi. Illuminati dalla luce del sole delle loro idee, mosse dal vento impetuoso delle loro passioni razionali, destinate a cadere perché deboli. Ossessionati dal dover essere alternativi, intelligenti, diversi da quel popolo ignorante, reazionario, fascista. Intellettualizzano tutto per aver ogni cosa sotto controllo, si creano alternative tanto acute quanto comiche.  Tutto questo perché sono terrorizzati dalla vita.  Adattano alle loro esigenze di ragazzini l'esistenza. Parlano di libertà perché forse l'han sentita cantare da De Andrè, o perchè fa figo e non impegna. Ma non sono né liberi, né felici,  men che meno un fulgido esempio di stile alternativo. Bimbi disperati, carichi di supponenza intellettuale e faciloneria. 

Sconfitti ancora prima di combattere, ma convinti di essere una straordinaria congrega di persone che vivono in un paese che non li merita, e dal quale non se ne vanno mai,  incapaci di provare qualsiasi cose che non riguardi i loro alibi e giustificazioni.

Tutto questo cosa ha che fare con questo buonissimo film? Nulla, o forse qualcosa..


Nel cinema è fondamentale il come e il chi, non il cosa. Perché anche il messaggio più giusto e importante, inserito all'interno di un prodotto scadente, non basta per render degno di nota e attenzione una pellicola. Tuttavia non basta. C'è un elemento decisivo (spesso ignorato) cioè che un buon film è quel prodotto che si lascia seguire e apprezzare anche da persone che non concordano affatto con quello che stanno vedendo. Perché quello che lo spettatore vede o sente, lo spinge a riflettere su sé stesso, le sue idee- le mie sono meraviglio...ah,no! Dubbi e umiltà che se no non mi danno la tessera bravo progressista. Mi scuso-  aprono dibattiti e discussioni. Cosa che è successo in casa nostra (parlo di me e mia moglie) dopo la visione di questa notevole e interessante opera prima. 



Andrea Di Iorio produce, scrive, compone ed esegue le musiche, e si occupa della regia, un vero ganassa come piace a noi proletari brianzoli. Uno che nel suo progetto ci crede tanto e si mette in prima fila, a viso aperto.  Ed è bello vedere questa passione nel volere filmare una tesi. Certo, un altro pregio del film è che è un'opera costruita per dar spazio, luce e importanza a una visione precisa di cosa sia la vita e sopratutto i legami di coppia, anche se qui non ci sono coppie, ma persone che stanno insieme-prendi nota Andrea ^_^ - e si vuol quindi rappresentare un'alternativa possibile e sicuramente migliore- per l'autore non per me me spettatore- quindi balza all'occhio il coraggio di questa opera prima, la quale pur facendo parte del filone ( che ha rotto i coglioni da tantissimo tempo) dei poveri trentenni/quarantenni precari nella vita e nel lavoro, sempre petulanti e frignoni, sposta in avanti e rielabora con un grande lavoro cerebrale e intellettuale, queste crisi per proporre- forse- una via d'uscita.  Che poi è la stessa che cantava Massimo Riva in " nuovo tipo d'amore", ma senza droga, alcol e rok'n'roll. 



Quello che colpisce e spicca, in questa opera prima, è la regia eccellente di Andrea, Incisiva, lirica, ma mai stucchevole, al servizio della tesi e dei personaggi, ma non trattenuta. Anzi, partecipe. Di Iorio ha personalità, idee, presenza . Tutte cose che rendono un regista davvero importante.  Per cui il chi e il come, sono ben che sistemati. Costui è ottimo in entrambi i casi. Altro punto di forza i bravissimi e bravissime. Lucrezia Guidone e Marco Cassini, Giovanni Anzaldo e Giulia Rupi, danno ai loro personaggi (sulla carta funzionali e anche un bel po' antipatici) mille sfumature, tonalità. li rendono non solo dei mezzi per esprimere un'idea, ma persone.   Ho apprezzato molto Enzo e Catia, ma tutti sono stati davvero molto bravi.

Chiedo invece venia a Elena Arvigp. bravissima come i suoi colleghi, ma ci tengo a dire e a far metter a verbale che volevo sopprimere il personaggio di Gaia, non l'attrice! Peraltro gestisce benissimo forse il personaggio più debole, troppo esplicito e con delle idee a dir poco assurde. Eppure anche codesto personaggio per me odioso ( #teamcatia) è stato spunto anche di riflessioni personali, di auto analisi, messa in discussione. Poi ho ragione e morta lì. Ma quando anche un personaggio che non sopporti per nulla ti spinge a un pensiero non banale, ecco vuol dire che il prodotto è buono.

Ah, dimenticavo: validissimo, seppur si vede poco,  Paolo Perinelli.  Al suo personaggio è legato il mio desiderio che il film diventasse un horror, tipo Midsommar, ma nel Molise. 


Ricapitolando: una regia eccellente e un cast di attori e attrici che fanno la differenza. La capacità di portare avanti un'idea, quasi una risposta filosofica a questioni legate alla vite delle persone che stanno insieme, ma non sono una coppia, e alcuni interessanti e stimolanti dialoghi che meriterebbero di essere approfonditi.

Mi riferisco a quando Marco dice che il lavoro ci ruba tempo e vita e la spiegazione del perché le camere rappresentino capitali del mondo. Per un discorso di esterofilia sciocca, di lamentarsi costantemente dell'Italia, con fare spocchioso e poi per vigliaccheria, rimanere .

Ecco, basta queste due riflessioni decisamente poco banali, per far in modo che io vi consigli codesto film. Come ho già detto non concordo con l'idea, ma sono sicuro che a molti piacerà. Per questo vi invito a veder il film e a farlo vedere.

Merita.

venerdì 13 agosto 2021

La Ferrovia Sotterranea di Benny Jenkins

 L'estate scorsa mi trovavo a Cesenatico in compagnia di mia moglie, come è ormai mia abitudine vado a comprare dei libri nella libreria Pagina 27.  Tra i tanti ottimi volumi acquistati spicca, senza ombra di dubbio, uno splendido romanzo che narra la fuga verso la libertà di una giovane schiava africana. L'opera letteraria in questione è violentissima, epica, colpisce duro al cuore del lettore. Una specie di storia del vecchio West vista dal punto di vista della popolazione afro-americana. Colson Whitehead diventa immediatamente uno dei miei scrittori preferiti, da aggiungere ad altri nomi importanti tra gli scrittori afro americani. Ho una forte passione per le loro storie, in quanto la schiavitù, la discriminazione, le carcerazioni di massa, svelano il lato nascosto degli Stati Uniti. Un lato appena accennato da chi - giustamente dal suo punto di vista- pretende di celebrare una nazione e il suo ridicolo sogno, ma che in sostanza ci dice molto sulla natura oppressiva, violenta, feroce degli U.S.A. 


Quando un libro ti cattura, emoziona, sconvolge, hai sempre paura che l'adattamento cinematografico o televisivo, possa deluderti. Non tanto per via delle libertà che i nuovi autori si prendono, ma perché magari quel sentimento rabbioso e tenero, quella sottolineatura di un momento storico che si vuol dimenticare, l'urgenza di parlar chiaro circa certe cose, possa andar perso in ammiccamenti, strumentalizzazioni o sciatterie.

Per questo quando ho saputo che da uno dei miei libri preferiti, si stava traendo una serie tv, mi son sentito un po' teso. Perché essendo un'opera molto viscerale si potrebbe trarre un film d'azione, che punta a scioccare e un po' superficiale, oppure cadere nell'errore inverso: trattenere ogni cosa, esser glaciali, cerebrali.  Paure che sono svanite appena ho letto il nome del regista.


Benny Jenkins mi era garbato assai con quel film bellissimo- ma che non è piaciuto a molti, di cui tanti di costoro per me hanno i classici gusti da cinefilo medio che si sente un capoccione de sta cippa-  che è Moonlight. Qui ci ritrovo la stessa grazia nel costruire inquadrature di grande intensità. Certo è aiutato da una troupe di ottimi professionisti, vedi ad esempio il modo con cui si usa la luce, le filtrazioni luminose. Tuttavia Jenkins riesce a gestire benissimo la materia d'origine. Violento e brutale in alcuni momenti, quasi insopportabile per la ferocia con cui gli esseri umani seviziano e uccidono con gusto altri esseri umani, profondamente lirico e struggente in altri momenti.  Questi ingredienti sono ben cucinanti insieme e un sapore non predomina mai su un altro.  D'altronde ci viene mostrato un paese feroce, crudele, ma l'obiettivo è il nord. La libertà, la civiltà.



La storia è quella di Cora, giovane schiava che vive in una piantagione di cotone in Georgia. Sua madre anni prima è riuscita a scappare e non è mai stata ripresa. La sua vita cambia quando conosce Ceasar uno schiavo erudito e spirito libero. Dopo una brutale uccisione (uno schiavo fuggiasco ripreso viene scarnificato a frustate e dato alle fiamme quando è ancora vivo) e alcune violenze da parte del nuovo padrone, costei con Ceasar e una loro amica scappano dalla piantagione. Durante la fuga, l'amoca di Cora viene presa e la ragazza per difesa è costretta a uccidere un ragazzino bianco. Cora e il suo collega di fuga usano una ferrovia sotterranea che si muove attraverso gli stati del sud direzione nord, per scappare. Sulle loro tracce c'è un abile e feroce cacciatore di fuggiaschi, il quale si muove sempre in compagnia di un bambino afro americano, suo fidatissimo aiutante e "figlio".

Nell'arco sia della lettura, che della visione, vi saranno tantissime avventure, spesso dolorose e tristissime per Cora. Fino a un finale di possibile, fragile, speranza.


Questa è una di quelle serie che a mio avviso andrebbero viste. Per la sua pulcretudine tecnica, di abbacinante lirismo, per la durezza di alcune situazione, per un meraviglioso monologo in cui il cattivo spiega cosa sia il Destino Manifesto e le origini degli Stati Uniti.  Io ve la consiglio.

lunedì 2 agosto 2021

Possession l'appartamento del diavolo di Alberto Pintò

 Una famiglia lascia il paese d'origine, nelle poverissime campagne spagnole del dopo Franco, per giungere nella capitale. Madrid è un luogo di possibilità, sogni che si realizzano, una vita dignitosa.  Il padre trova lavoro come operaio in una fabbrica che costruisce i bus cittadini, la madre lavora come commessa in un grande magazzino.  La figlia ha dovuto lasciare il fidanzato e spera di girare il mondo facendo la hostess, il figlio più grande è un ragazzo timido, balbuziente, intimorito dalla nuova vita e infine il piccolo è un bambino. Occhialuto. Come si fa a non volergli bene? Chiude l'allegra famiglia il personaggio misterioso, tanto che a volte se lo scordano anche il regista e gli sceneggiatori: il nonno con demenza senile.


Fossimo in un film di Spielberg o Virzì, giusto per citare due registi che adoro, seguiremmo le avventure di codesta famiglia tra grandissime gioie e qualche dolore, fino al finale in gloria. Invece è un horror, per cui state certi che di felicità per costoro ce ne sarà pochissima.

L'appartamento infatti è infestata da uno spirito rancoroso, frustrato nel suo sogno di aver una famiglia. Per questo tenterà di prendere il bambino piccolo, poi -come tutti gli spiriti rancorosi- par quasi cambiare idea, oppure , semplicemente, siamo passati a ispirarci a un altro horror.

Questo film mi è garbato. Un horror che si rifà alle pellicole americane di questi ultimi tempi,  un film che non si vergogna di essere un prodotto di genere e di omaggiare/copiare un maestro assoluto come James Wan. Tuttavia saremmo eccessivamente ingiusti con questa pellicola, qualora non le riconoscessimo di inserire quelle due o tre varianti che rendono il film più interessante rispetto alla media di film horror quasi tutti identici, che si limitano a sfruttare le regole di un sotto genere (in questo caso le presenze ostili in case maledette e le possessioni in un senso molto più largo) senza aggiungere nulla.


La natura profondamente proletaria, il tema sulle illusioni e speranze infrante perché rese impossibili dalla società reazionaria, capitalista,  che alla famiglia nega la ricchezza tanto agognata e allo spirito la possibilità di aver una famiglia tutta sua, dei bambini da crescere e amare, spostano questo film, che un tempo avremmo definito di cassetta, verso una riflessione più amara sulla disillusione, la solitudine, l'impossibilità di realizzarsi, di vivere la vita che vogliamo.

Tutto questo rimane sullo sfondo, non è un film di Astor o di altri che usano il cinema horror per veicolare messaggi, tematiche e tecniche da film d'autore europeo. Questo è un puro ed onesto film di genere, che sa come spaventare lo spettatore ( e renderlo sordo visto l'audio altissimo  spaccatimpani) ha un buon cast, un mostro spaventoso e una buona ambientazione. 



martedì 22 giugno 2021

Night Game- Partita con la morte di Peter Masterson

 Se dovessi dire quale è il mio genere preferito, forse ed esclusivamente per oggi, direi il thriller. Quei film in cui c'è un pazzo scatenato che macella senza pietà a destra e a mancina, ma che viene spedito all'inferno dal classico poliziotto che fa giustizia da solo.  Ci sono tantissimi modi per portare sullo schermo una storia così semplice e poco propensa a profonde riflessioni.

Night Game è una di quelle opere fatte davvero bene e perse nel dimenticatoio. Per fortuna potete vederlo su Youtube.


Ci troviamo di fronte a un purissimo film di genere, senza alcuna ambizione se non quella di donarci un ottimo spettacolo, creando momenti di mistero e altri più ironici per alleggerire la tensione. Sicuramente non ci sono trovate di regia o presenti nella sceneggiatura, capaci di donare originalità alla storia. Ma sinceramente non ne sentiamo proprio il bisogno. Perché pur nella sua classicità. basicità, linearità,  la storia regge bene e i personaggi sono scritti benissimo.

Prima di tutto perché c'è un buon cast, capitanato da un sempre ottimo Roy Scheider,. Inoltre la regia di Masterson è solida, robusta, sa creare buoni momenti di tensione e violenza quando deve mostrare i delitti e mantenere l'attenzione dello spettatore anche nei momenti di raccordo, o nelle parentesi sentimentali.  Il film narra le indagini del detective Mike Seaver di Galveston, Texas, alle prese con un crudele e feroce serial killer che scanna le sue vittime con un uncino. Seaver è un uomo dal passato tormentato (figlio di un boss della malavita locale) non ben visto da alcuni colleghi, tuttavia è un buon poliziotto e farà di tutto per prender l'assassino.


Mentre i delitti aumentano e la pressione tra gli investigatori sale, all'improvviso pare aprirsi una strada che possa portare alla cattura del feroce killer.  Qualcosa legato alle partite di baseball giocate da una promettente squadra locale.

La pellicola è diretta dal regista, attore, sceneggiatore Peter Masterson, padre di Mary Stuart Masterson nota per Pomodori verdi fritti alla fermata,  come attore costui ha interpretato il ruolo dello psichiatra in quel capolavoro senza tempo che è l'Esorcista. Non ha diretto molti film e questo è l'unico che ho visto. Per quanto mi riguarda un ottimo thriller con un buon cast e una trama solida. Merita una riscoperta